Trascrizione con alcune integrazioni dell’intervento tenuto da Maurizio Castelvetro, presidente di ANPI Sezione Cattolica-Valconca, il 17/8/2013 a Montegridolfo durante l’iniziativa “La Montegridolfo liberata” a cura del Museo della Linea dei Goti. La relazione si pone sia come compendio aggiornato e comparato della storiografia esistente sia come proposta per nuovi approfondimenti di indagine, in parte svolti direttamente attraverso le testimonianze dei protagonisti, con l’intento di mettere in evidenza il contributo dato alla lotta di Liberazione dai territori a ridosso della Linea Gotica nel sud della Romagna.
Il 25 aprile 1943 con la caduta del governo fascista e l’arresto di Benito Mussolini si apre in Italia un nuovo capitolo politico: i prigionieri politici finalmente rilasciati riprendono immediatamente i contatti con i vecchi ed i nuovi compagni.
A Roma il 30 agosto 1943 si forma il Fronte nazionale dei partiti antifascisti – che diventerà poi CLN.
Anche a livello locale le forze politiche, anche di nuovissima formazione, si incontrano unendo le varie anime.

Giuseppe Ricci
Con l’8 settembre 1943, nasce la Resistenza. Nella Valconca si riuniscono attorno ad alcuni ufficiali cercano di organizzare le prime formazioni armate, ma senza successo, mentre prende avvio la propaganda politica tramite volantini e manifesti, a Cattolica e Morciano.
Nei primi mesi di lotta la struttura del Partito Comunista, data la lunga esperienza clandestina, è l’unica in grado di operare con efficacia, anche per la posizione cosiddetta ‘attendista’ delle altre forze politiche.
Sin dall’inizio, e per tutta la durata del conflitto, nella Valconca si delineano alcune figure locali di riferimento: tra di esse il repubblicano Celestino Giuliani, di Gemmano, membro del CLN, e il comunista Giuseppe Ricci, responsabile per la zona di Cattolica e dintorni: la fabbrica del ghiaccio di cui è titolare costituisce un punto di passaggio obbligato e insospettabile per tutti i marinai di Cattolica e sarà la base organizzativa di numerose iniziative dei partigiani.
È opportuno sottolineare che proprio a Cattolica – durante l’occupazione nazifascista – è attiva una numerosa cellula del PCI: essa ha 100 iscritti su un totale di 450 dell’intero circondario riminese. Allo stesso tempo, a Cattolica risulteranno attivi 24 membri dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) sul totale dei 36 attivi nell’ intera area circondariale: la loro attività, a differenza dell’area riminese, si esplicherà tuttavia maggiormente in operazioni di stampa e propaganda, supporto economico e logistico all’8ª Brigata ed agli alleati, sabotaggio e raccolta informazioni. È questa infatti una caratteristica della Resistenza dell’intera Valconca, in quanto area densa di sfollati – e quindi a forte rischio di rappresaglie – fortemente presidiata e trafficata da militari, essendo retrovia di un importante snodo tra la Linea Gotica sull’Appennino e la Linea Galla Placidia sull’Adriatico.

J. T. Ferguson e P. Spooner
La prima iniziativa operativa della Resistenza nella Valconca, che aprirà la strada ad importanti successivi sviluppi, è la fuga tramite un peschereccio di un ufficiale inglese evaso da un campo di prigionia italiano, il capitano James Tuil Ferguson (compagno di evasione era il tenente colonnello Pat Spooner, che però non si imbarcò in quella occasione – secondo quanto riportano le sue memorie – rimanendo nascosto a Pozzo Alto, vicino Montecchio); assieme all’ufficiale sono in fuga anche il comunista medicinese Renato Modelli (che diventerà in seguito un ufficiale di collegamento con le missioni alleate) e gli ebrei Tullio Perlmutter e l’ingegnere Ruggero Cagnazzo di Pesaro.
La fuga ha luogo il 10 ottobre 1943, ed è organizzata dalla cellula comunista di Cattolica tramite Ezio Galluzzi: la barca è la “Freccia Azzurra”, il cui equipaggio è composto dal capitano Guerrino Bianchini, dal figlio Libero e da due marinai di Riccione, loro parenti.
Ferguson e Cagnazzo, giunti sani e salvi a Termoli, vengono contattati dalla centrale italiana dell’intelligence britannica con sede a Bari e incaricati di tornare da dove erano venuti, dietro le linee nemiche, per coordinare il rientro dalle zone occupate dai nazifascisti di alcuni altissimi ufficiali britannici. I due – ora inquadrati come agenti della ‘A Force’ del MI9, uno speciale dipartimento del War Office britannico con il compito di collaborazione con i partigiani operanti nei territori occupati dai nazifascisti e di recupero dei militari delle forze alleate in territorio nemico, tornano clandestinamente a Gabicce, sempre grazie alla “Freccia Azzurra”, nella notte del 16 ottobre, con l’obbiettivo di contribuire all’operazione di salvataggio di un gruppo di generali inglesi nascosti sull’Appennino.

Ufficiali inglesi e partigiani alla Seghettina
Infatti, nell’Appennino tosco-romagnolo, le autorità italiane nella mattina del 10 settembre (due giorni dopo la proclamazione dell’armistizio) avevano liberati ed aiutati nella fuga dal campo di prigionia di Vincigliata vicino a Firenze un folto gruppo di ufficiali britannici, tra cui alcuni di altissimo rango: il tenente generale Philip Neame, già comandante delle forze britanniche schierate in Cirenaica; il maresciallo dell’Aria Owen T. Boyd, comandante in capo della RAF (Royal Air Force) in Medio Oriente; il generale Richard N. O’Connor, già comandante della Western Desert Force in Africa e stratega della distruzione della 10ª Armata italiana.
Inizialmente nascosti presso il francescano Eremo di Camaldoli, e di lì destinati dal priore, padre Leone, in sperdute località appenniniche pressochè inaccessibili: Seghettina, Strabatenza, Campo Minacci.

Ezio Galluzzi
Lì essi avevano avuto modo di contattare direttamente alcuni eminenti rappresentanti dell’antifascismo romagnolo, rappresentanti del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale): Torquato Nanni, Tonino Spazzoli, Giusto Tolloy, Pietro Spada ed altri. Con Cagnazzo e Bruno Vailati fu attivata la fitta rete clandestina della Resistenza romagnola e marchigiana, improvvisando una lunga trafila degna di un romanzo di avventure, paragonabile a quella che un secolo prima mise in salvo Garibaldi in Romagna durante la sua fuga da Roma.
Qui ricordiamo le lunghe soste nella casa di Giusto Tolloy a Cattolica, nella cappella privata Spina a San Giovanni in Marignano, e nelle case coloniche delle colline marchigiane circostanti.
Innumerevoli tentativi di imbarco clandestino fallirono.
Nei primi giorni di novembre i fuggitivi tramite Ferguson e Spooner predisponevano un contatto al largo di Gabicce in attesa della “Freccia Azzurra” proveniente dal sud, già autrice di un precedente salvataggio, ma a causa della scarsa visibilità il contatto falliva per due notti consecutive.
Un’altro appuntamento concordato verso la metà di novembre a Cattolica, organizzato da Giuseppe Ricci, falliva a causa dell’improvviso rifiuto di Galluzzi, dissuaso dai propri famigliari a non correre ulteriori rischi.

Il motopeschereccio “Dux”
Dopo ulteriori tentativi andati a vuoto (siamo già al settimo), alla fine di dicembre l’organizzazione stabilisce nuovamente un contatto con Ezio Galluzzi, che nel frattempo ci ha ripensato, proponendo di utilizzare per la fuga la ‘ammiraglia’ della flotta peschereccia cattolichina, un motopeschereccio da 16 metri denominato DUX. Nella mattina del 19 dicembre 1943 la partenza ha finalmente luogo dal porto di Cattolica: a bordo salgono Neame, Boyd e O’Connor, assieme agli ufficiali Ferguson e Spooner, l’agente Ruggero Cagnazzo con la moglie, il camaldolese padre Leone, il sottufficiale sudafricano MacMullen – nascosto da mesi a Santa Marina -, Ezio Galluzzi e l’equipaggio, costituto dal capitano Francesco Ercoles, dal motorista Mario Ercoles e dal marinaio Sebastiano Vanni, tutti di Cattolica.
Il motopeschereccio giungerà sano e salvo a Termoli con il suo prezioso carico.
Ezio Galluzzi rimarrà nel Sud, addestrato da ufficiali alleati alle tecniche della guerriglia e paracadutato nel giugno 1944 assieme a Bruno Vailati presso la zona operativa della romagnola 8ª Brigata Garibaldi.
Nel tempo ognuno dei singoli protagonisti di questa trafila rivendicherà un ruolo essenziale nella riuscita della operazione: ed in un certo senso fu proprio così, in quanto ogni singolo contrattempo o disattenzione poteva riuscire fatale: fu la rete antifascista, nel suo insieme, nella sua traballante seppur efficace organizzazione – formata da uomini di grande idealità e audacia – che permise la riuscita di questa impresa, un importante banco di prova dei rapporti tra Resistenza e forze alleate.

Il percorso della fuga dei tre generali inglesi
La caccia all’uomo scatenata dai nazifascisti a seguito della scoperta della fuga dei generali inglesi produce il 2 febbraio del 1944 l’arresto di Celestino Giuliani, Pietro Arpesella e Icilio Celli – tutti militanti del Partito repubblicano. Come Celli, alcuni mesi dopo anche Arpesella prima e e Giuliani poi vengono rilasciati, ed aiutati da alcuni Carabinieri a nascondersi.
Un ulteriore arresto decapita i referenti politici e militari della zona Valconca.
Il 27 aprile 1944 un capitano italiano delle SS e due militi della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) in borghese avvicinano a Riccione il prof. Bruno Molari, chiedendo di unirsi ai ‘ribelli’: egli aderisce, indicando loro di recarsi a Morciano e presentarsi all’ex colonnello di aviazione Innocenzo Monti, membro del CLN riminese, fornendo loro la parola d’ordine. Mentre i 3 agenti in borghese si recavano da Monti, la GNR provvedeva alla cattura di Molari ed altri antifascisti. A Morciano i 3 agenti fascisti arrestavano ugualmente Monti, nonostante un suo disperato tentativo di fuga.

Decio Mercanti
Lo stesso Decio Mercanti, responsabile del PCI per la Valconca, è arrestato assieme ad altri compagni nei primi giorni di giugno nel corso di una riunione organizzativa da lui presieduta in qualità di commissario politico della Resistenza in pianura. Durante il trasferimento nella sede della Gestapo a Forlì un improvviso bombardamento aereo alleato e il conseguente panico gli permette di eludere la sorveglianza e scappare e tornare dopo alcuni giorni a Farneto, sede del comando partigiano della sinistra della Valle del Conca.
In quei mesi alcuni giovani, rifiutandosi di aderire al bando di arruolamento fascista, trovano scampo nella possibilità di lavorare presso la TODT o la Organizzazione Paladino; altri raggiungono le formazioni partigiane sulle montagne marchigiane e romagnole: tra di essi il cattolichino Augusto Cicchetti e Armando Cavalli, romano di nascita ma morcianese di adozione, che periranno durante i combattimenti.
Alla fine di giugno in una casa di contadini a Marazzano, frazione di Gemmano, ha luogo una importante riunione cui partecipano Umberto Macchia (Pini), ispettore del CUMER (Comitato Unitario Militare Emilia Romagna), Wladimiro Rossi, ufficiale di collegamento della Giunta militare del CLN provinciale di Forlì, Gianni Quondamatteo, responsabile [per il CLN] della zona sinistra del Conca e lo stesso Decio Mercanti: nel corso di essa si conferma l’impossibilità di creare un forte gruppo armato in quanto i luoghi non erano tatticamente adatti, perchè troppo vicini alle forze tedesche e repubblichine di Cattolica, Riccione e Morciano. Ciò era stato già indicato da Alberto Bardi (noto come Falco), ex vicecomandante dell’8ª Brigata Garibaldi Romagnola, a seguito di un sopralluogo tra Pian di Castello (a Mercatino Conca) e Montegrimano.
Si conferma dunque come la Resistenza nella Valconca avvenga soprattutto nelle forma di azioni di supporto – economico, materiale e di fornitura di armi – alla Brigata Romagnola, unitamente all’attività di stampa e propaganda antifascista
Con la riorganizzazione della Resistenza, il territorio riminese – e con esso la Valconca – viene organizzato nella “29ª Brigata GAP” intitolata a Gastone Sozzi.

La chiesa di Farneto, comando del CLN della Valconca
Poco dopo, nei primi di luglio 1944, si costituisce il Comitato di Liberazione Valconca nella canonica di Farneto di Gemmano, con a capo Gianni Quondamatteo. È la parrocchia di don Antonio Marcaccini, prete partigiano, già autore con altri della distruzione notturna dell’anagrafe del Comune di Gemmano. Del CLN fanno parte Aurelio Monti (fratello di Innocenzo), Luigi Cavalli, Raffaello Bucci, Francesco Franchetti, Giuseppe Volpinari e Giuseppe Ricci. Il Comitato decide di prendere contatti con altri parroci della zona attraverso don Marcaccini, che li incontra nella canonica di Onferno.

Leonardo Vannata in mezzo ai bersaglieri del “Mameli”
In questo contesto si inserisce, nel giugno 1944, il caso delle diserzioni all’interno del Battaglione Bersaglieri Volontari “Goffredo Mameli”. Alcuni partigiani di Cattolica erano riusciti ad entrare in contatto con due bersaglieri, il sergente Giovanni Castagna e il bersagliere Giovanni Pilotti, concordando con essi un piano che prevedeva la loro fuga assieme alla trafugazione di armi dalla loro caserma. Il piano fu organizzato nei minimi dettagli e con la collaborazione di numerosi ‘pali’ dislocati lungo il percorso: all’orario convenuto una motocarrozzetta si presentò presso il loro distaccamento situato a Gabicce con un ordine fasullo di prelievo e trasferimento di armi. Sul furgoncino, guidato dal gappista cattolichino Cristoforo Galli, salirono i due militi: esso partì alla volta della campagna, provvedendo a nascondere le armi e portando a destinazione i due fuggitivi verso Schieti, ove operavano alcune formazioni partigiane.
Immediatamente si scatenò una furiosa reazione da parte dei Bersaglieri: durante un rastrellamento nella zona fu ucciso casualmente un anziano agricoltore, vennero incarcerati numerosi cittadini e antifascisti nella Rocca di Cattolica, e alcuni repubblichini nel corso delle ricerche penetrarono sino all’interno del palazzo dei Capitani Reggenti, nella Repubblica di San Marino.
Da rilevare che nella zona di Coriano già c’era stato il precedente di due giovani disertori dell’esercito repubblichino, fucilati dai tedeschi ad Ancona il 18 maggio: Libero Pedrelli e Vittorio Giovagnoli.

Domenico Rasi e Vanzio Spinelli
Nei giorni immediatamente successivi, vengono incarcerati nove bersaglieri del distaccamento di Gabicce, commilitoni dei disertori: due di loro, il caporalmaggiore Domenico Rasi e il sergente Vanzio Spinelli, ambedue di Cesena, vengono accusati di collaborazionismo coi partigiani. Seguirà un lungo e drammatico processo, fortemente voluto dal loro comandante, il maggiore Leonardo Vannata, che vedrà anche un tentativo di coinvolgere tramite una richiesta di grazia lo stesso Mussolini (ben noto a Cattolica in quanto sede delle sue vacanze) ed avrà come triste epilogo la fucilazione dei due ragazzi il 24 giugno nel cimitero di Cattolica. Essi nelle loro toccanti ultime lettere inviate ai genitori negano di essere responsabili della fuga dei camerati ma non escludono un coinvolgimento ideale: “Il vero se c’è tu lo troverai” scrive Rasi all’amico Toni. Con loro anche due bersaglieri verranno puniti, seppure con pene inferiori. Il fatto ebbe una eco emotiva fortissima nella cittadina, e con la liberazione di Cattolica – un paio di mesi dopo – i due militi furono riabilitati e registrati come partigiani, con la intitolazione a loro del lungomare cittadino e – negli anni ’70 – l’erezione di un monumento sul luogo della fucilazione.
Passano pochi giorni ed a pochi chilometri di distanza avvengono fatti analoghi: di fronte al cimitero di Tavullia il 28 giugno vengono fucilati da parte dei militi del Battaglione “Tagliamento” della G.N.R., comandato dal fanatico e spietato maggiore Merico Zuccari, cinque presunti ‘disertori’ già in forza presso il battaglione “Milano” della Organizzazione Paladino, operante sulla Linea gotica; nello stesso punto, pochi giorni dopo, il 10 luglio, vengono fucilati un milite repubblichino della stessa “Tagliamento” – disertore per la seconda volta, fuggito dopo essersi rifiutato di fare parte di un plotone di esecuzione – ed il 20 luglio due partigiani tavulliesi.
Nell’area appenninica tra le valli e del Foglia si trova ad operare la “banda Massi”, un raggruppamento partigiano di matrice cattolica operante in totale autonomia dal CNL e dalle altre forze partigiane presenti sul territorio.
Le relazioni redatte nel 1944-1945 dai protagonisti sulle attività di questo raggruppamento, presentano tuttavia ambiguità ed incongruenze: verifiche con testimoni diretti e circostanze – ancora in corso – inducono a ritenere che si trattasse, più che di una banda organizzata, di una rete di ‘conoscenti’ di tradizione cattolica ed antifascista, e che non tutte le attività indicate come azioni partigiane fossero realmente avvenute.
Comandante della banda Massi era Gino Morbiducci, nativo di Torino e residente a Cattolica: di dichiarata fede democristiana, dopo la liberazione di Cattolica trova credito presso le truppe alleate in funzione anticomunista ed anti-CLN, per poi scomparire politicamente con le prime elezioni libere, in cui viene eletto sindaco il comunista Giuseppe Ricci, comandante della cellula partigiana di Cattolica.
È lo stesso Morbiducci a promuovere con estremo vigore e commozione le cerimonie di commemorazione e la intitolazione del lungomare cittadino alla memoria dei militi Rasi e Spinelli.
Dalla primavera del 1944 prende avvio una dettagliata operazione di rilevamento delle fortificazioni tedesche in allestimento lungo la Linea gotica, da fornire agli Alleati. L’attività coinvolge numerosi partigiani, selezionando tra essi coloro che hanno precise nozioni tecniche (geometri, disegnatori, ecc.) infiltrati direttamente all’interno della TODT, la organizzazione tedesca che si occupava dei cantieri in Italia, e della sua corrispondente italiana, l’Ispettorato Militare del lavoro, meglio nota come Organizzazione Paladino: nella Valconca sono operativi in particolare i fratelli Pino (Giuseppe) e Cino Ubalducci.
Tale lunga attività si conclude pochi giorni prima dell’avvio dell’attacco alleato della Linea Gotica sul versante adriatico nel contesto dell’Operazione Olive, con una significativa operazione avviata in concorso tra le forze alleate, nuovo esercito italiano e i partigiani di Cattolica e del pesarese.

Enzo Mini
Il 23 agosto 1944 il sottotenente Enzo Mini, del Gruppo Mezzi d’Assalto della Marina militare – Reparto NP, assieme ai marò Giovanni Scagliola e Luigi Campora ed al partigiano marchigiano Rolando (Sergio Rimondi) sbarcano nottetempo preso la Vallugola, tra Pesaro e Cattolica. Dopo aver effettuato utili sopralluoghi circa le caratteristiche delle forze tedesche, prendono contatto tramite Rolando con i partigiani di Cattolica per ottenere un resoconto più dettagliato sulle opere di fortificazione della Linea Gotica.
Il giorno dopo due dei marò tornano alla base di Falconara. Giuseppe Ubalducci, nel frattempo, raccolta la cartografia riguardante oltre 40 chilometri di linee fortificate, preparata durante alcuni mesi di rilevamento assieme al fratello Cino, il 27 raggiunge assieme a Rolando il marò ancora nascosto in Vallugola.
Il giorno successivo una motosilurante italiana, comandata da Mini, li recupera nottetempo e torna verso le linee alleate.
L’accurato rilevamento via terra viene immediatamente messo a confronto dalle forze alleate della VIII Armata con quello aereo, realizzando così una dettagliata mappatura, e il 30 agosto scatta anticipato l’attacco alleato contro le fortificazioni lungo la vallata del Foglia, che in pochi giorni vengono superate di slancio.
Mini ed i due marò Campora e Scagliola per questa operazione ottennero una decorazione con medaglia d’argento al valor militare.

Giuseppe “Pino” Ubalducci
Visto l’esito positivo della missione, Ubalducci verrà inviato il 17 settembre via mare su incarico dei comandi alleati ad avviare i contatti con la 28ª Brigata Garibaldi operante nel ravennate, comandata da Falco e Bulow. Ma, parallelamente, agirà anche per conto del gruppo dirigente comunista delle Marche, guidato da Egisto Cappellini, informando i partigiani ravennati della nuova situazione politica creatasi nell’Italia liberata e sul controverso rapporto tra alleati e Resistenza: informazioni estremamente apprezzate dallo stesso Bulow, che proprio a Cattolica – diventato sede del quartier generale alleato – si recherà clandestinamente via mare per proporre agli alleati un piano congiunto per la liberazione di Ravenna, e che nel febbraio 1945 verrà decorato con medaglia d’oro su proposta del generale Richard McCreery, diventato comandante dell’8ª Armata britannica in Italia.
Ancora nei primi giorni di settembre, mentre imperversa la battaglia, nella zona di Farneto di Gemmano, durante il passaggio del fronte, Gianni Quondamatteo aggredisce un alpino tedesco che però riesce a liberarsi e lanciare l’allarme. Ben presto Quondamatteo è catturato, ma durante il trasporto fugge, pur rimanendo ferito. L’area viene rastrellata e per rappresaglia 6 uomini vengono minacciati di fucilazione se non si trova il partigiano.
Solo il deciso intervento di Don Marcaccini, che viste inutili le sue pressioni si offre per essere fucilato egli stesso con gli altri, riesce a far desistere l’ufficiale tedesco.
Arriva finalmente la liberazione. Nel settembre del 1944, con la fine della lotta armata nel riminese, inizia un nuovo ciclo politico, aperto alla democrazia ed al suffragio universale. Anche in questo caso la Valconca darà il suo contributo, con la scelta dello stesso Giuseppe Ricci – in rappresentanza del circondario riminese – quale Deputato nella nuova Assemblea Costituente.

Foto ricordo di Egidio Renzi
Nella Valconca merita di essere ricordata la figura di Egidio Renzi, originario di San Giovanni in Marignano e residente a Cattolica, antifascista della prima ora costretto a fuggire nel 1923 a Roma, ove lavora continuando svolgere attività di propaganda antifascista come aderente al movimento Giustizia e Libertà. Attivo durante la Resistenza, il 3 febbraio 1944 viene catturato, torturato e trasferito nella famigerata prigione di via Tasso.
A seguito dell’attentato partigiano di via Rasella, per ritorsione verrà selezionato con altri 334 patrioti e massacrato il 24 marzo 1944 nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Solo il 28 agosto, assieme agli altri, il suo corpo verrà ritrovato e, nel dopoguerra, tumulato nel sacrario a loro dedicato, nel sacello n. 169.
Sessant’anni dopo la sua morte, nel 2004, su iniziativa dell’ANPI, Egidio Renzi è stato insignito della Cittadinanza onoraria dal Comune di Cattolica.
Perchè, come recita il monumento ai caduti di quella cittadina, “l’Italiano per ben vivere deve ben ricordare.”
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